Madagascar un Paese ricco fatto di poveri

mercoledì 15 Aprile 2020, 11:53 am
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Definire il Madagascar un paese povero è veramente paradossale in quanto il sottosuolo è ricco di giacimenti, la sua agricoltura produce la vaniglia la cui qualità Burbon è la più pregiata del mondo, il cacao, il caffè e le varie spezie che vengono esportate e richieste in tutto il mondo.

Inoltre ha un flusso turistico molto importante e solamente gli italiani che ogni anno visitano il Madagascar sono più di 30 mila.

Carbone, petrolio, diamanti ilmenite, nichel, cobalto : nel cuore di una natura incontaminata, e di un autentico paradiso terrestre per diverse specie di animali, non manca proprio nulla, e tutto lascia immaginare l’ingresso del Madagascar nello scacchiere dei nuovi fornitori mondiali di risorse energetiche.

Le scoperte dei primi giacimenti di carbone, per esempio, risalgono già agli inizi del secolo scorso, quando furono i francesi, dominatori del territorio, a realizzare le esplorazioni e i primi impianti nella zona oggi nota come il bacino carbonifero di Sakoa. Poi è arrivato un lungo periodo di instabilità politica e sociale, e il Madagascar si è ritrovato a importare carbone dal Sud Africa, pur essendo il suo territorio molto ricco di questo materiale.

Dal Duemila, le ricerche sono riprese, anche grazie agli investimenti della Banca Mondiale e del Fondo monetario e oggi il Paese si ritrova, solo nell’area di Sakoa, con riserve carbonifere che raggiungono i 3 miliardi di tonnellate. Un tesoro. Come il petrolio, scoperto a 300 chilometri dalla capitale Antananarivo, sulla costa occidentale: qui, secondo gli esperti, ci sono giacimenti per 1,7 miliardi di barili, e oggi la Madagascar Oil ne riesce a estrarre soltanto poche decine al giorno.

L’estrazione, infatti, non è facile, visto che per fare emergere il petrolio malgascio è necessario “iniettare” vapore nel sottosuolo, con una tecnologia molto avanzata e non del tutto disponibile alla Madagascar Oil. Poi ci sono i giacimenti di zaffiri: siamo nella regione di Ilakaka, dove il giacimento potenziale ha una superficie pari a ottanta chilometri per cinquanta, con una significativa prevalenza di zaffiri rosa e fucsia. 

Ma la ricchezza delle risorse naturali, ancora tutta da sfruttare, non può mettere a rischio l’eco-sistema di un Paese considerato un paradiso della biodiversità. Quasi il novanta per cento di oltre mille specie di vertebrati, e centomila di invertebrati, come tredicimila tipi di piante, in Madagascar sono endemiche, non si trovano cioè in nessuna altra parte del mondo. In questa sorta di gigantesca zattera biologica, universalmente riconosciuto come uno dei paesi ecologicamente più ricchi del mondo, vivono il 90 per cento dei lemuri e la metà dei camaleonti conosciuti nel mondo; 120 varietà di palme, e 7 di baobab, oltre 600 tipi di piante medicinali e 700 tipi di orchidee, rendono l’isola una delle ultime riserve naturali, con un susseguirsi di parchi naturali, isole e spiagge incontaminate, fiumi, cascate, villaggi.

E tutto ciò rappresenta la seconda leva dell’economia locale: un turismo sempre più avanzato, ma rispettoso dell’ambiente, con importanti investimenti da parte dei grandi tour operator di tutto il mondo, Alpitour Italiano riesce a convogliare ogni anno circa 30 mila italiani.

Il problema di fondo resta quello della povertà del 90% del popolo. Un popolo che vive sotto la soglia della povertà, che muore ancora giovane perchè non ha la possibilità economica per accedere alla medicina.

Le pietre blu rischiano di mettere a rischio una zona di inestimabile ricchezza ambientale. Le pietre blu sono gli zaffiri estratti da una miniera in Madagascar in un corridoio naturale tra due aree protette, di cui una patrimonio Unesco dell’umanità. La gemmologa inglese Rosey Perkins fine ottobre ha visitato l’area a est di Ambatondrazaka. «Ho camminato dodici ore nella giungla, superato 32 guadi in fiumi e torrenti, incontrato una fila incessante di donne e bambine che portano acqua potabile, uomini e ragazzi con pesanti carichi sulle spalle. Alla fine sono arrivata in un cratere bucherellato come una grattugia, circondato da alberi abbattuti e bruciati, dove diverse migliaia di persone vivono in tende tenute su tra il fango, senza alcun tipo di servizi igienici».

L’assalto di minatori e mercanti

Da un mese, in una remota regione delle zone nord-orientali del Madagascar, è in atto una corsa agli zaffiri. Da quando sono state estratte le prime pietre preziose, l’area è stata presa d’assalto da minatori professionisti e improvvisati, mercanti, militari che cercano di mantenere un minimo di ordine, donne e uomini accomunati da un’unica speranza: trovare la «grande pietra blu perfetta», quella da 100 carati che, si dice, è stata estratta dai primi fortunati minatori. Ma nessuno l’ha mai vista.

Pietre di tutti i colori

Zaffiri e rubini sono varietà dello stesso minerale: il corindone, un ossido di alluminio che è il materiale naturale di maggiore durezza dopo il diamante. La differenza è che i rubini sono rossi a causa delle inclusioni di cromo, gli zaffiri sono blu per le inclusioni di titanio e ferro. I più grandi e pregiati, quelli blu intenso (royal blue), una volta tagliati arrivano a costare anche mille euro a carato. «Nei tre giorni che ho passato alla miniera — dice Perkins — ho visto pietre di tutti i colori: azzurrastre, bianche, lattiginose, alcune policrome. Quelle azzurro-blu sono rare, ne ho viste pochissime e solo nelle mani dei mercanti».

Un corridoio naturale

Il giacimento si trova in un’area teoricamente protetta, un corridoio naturale tra il Parco nazionale Zahamena a sud e la Riserva speciale di Mangerivola a nord-ovest dove i lemuri, proscimmie che vivono solo in Madagascar, possono spostarsi da una zona all’altra. Il Parco Zahamena fa parte delle foreste pluviali di Atsinanana, dichiarate nel 2007 dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Da una parte ci sono le preoccupazioni ambientaliste, dall’altra le esigenze di una delle nazioni più povere del mondo in cui le miniere artigianali sono una delle voci più importanti dell’economia e vengono difese dalla classe politica locale. Anche se la compravendita delle gemme è in mano a mercanti locali e stranieri.

L’intervento dei militari

Quella di Ambatondrazaka è solo l’ultima delle corse allo zaffiro che si sono succedute in Madagascar a partire dal 2012. «Le miniere si aprono e si sviluppano a velocità incredibile. Durante la mia visita arrivavano molte centinaia persone al giorno. Poi, così come sono nate, improvvisamente si svuotano. Il 23 ottobre i militari mi hanno detto che dovevo andare via», termina il suo racconto Rosey Perkins.

E ora corsa ai rubini

Le ultime notizie dal Madagascar dicono che i minatori stanno abbandonando la zona per spostarsi verso un nuovo giacimento. Dopo il blu, è aperta la corsa al rosso. «Dicono che sono stati trovati i rubini».